Quali sono le caratteristiche principali dei due tipi di licenziamento? Che cosa comportano per il lavoratore?
Il nostro ordinamento in materia di rescissione unilaterale dei rapporti di lavoro da parte del datore prevede tre tipologie: il licenziamento per giusta causa (“in tronco”), il licenziamento per giustificato motivo soggettivo e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Quali sono le differenze tra i due tipi di licenziamento per giustificato motivo e quando il licenziamento di questo tipo è illegittimo?
Il punto di riferimento giuridico è la legge 604/1966 che all’art.3 già specifica le differenze tra le due tipologie stabilendo che “Il licenziamento per giustificato motivo è determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.”
Per semplificare possiamo dire che il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è – insieme al licenziamento per giusta causa – un tipo di sanzione disciplinare, dipendente quindi da un comportamento e da una condotta del prestatore di lavoro, mentre il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è di tipo economico.
Come abbiamo appena visto la motivazione soggettiva del licenziamento dipende da una condotta del dipendente sul posto di lavoro.
Per comprendere al meglio questo tipo di licenziamento dobbiamo considerare che il rapporto di lavoro subordinato pone, in capo al lavoratore, una serie di obblighi – di fedeltà e di diligenza soprattutto – e riconosce al datore un interesse e quindi un diritto all’esatta esecuzione della prestazione lavorativa.
Nel sottoscrivere il contratto di lavoro, il dipendente si impegna a rispettare una serie di obblighi e direttive che sono connaturate a questo tipo di negozio. Il rapporto di lavoro si basa inoltre su un rapporto di fiducia che deve esistere sempre tra datore di lavoro e dipendente.
Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo trova il suo fondamento nell’inadempimento, da parte del dipendente, di tali obblighi.
La legge però stabilisce che tale inadempimento deve essere “notevole”, vale a dire che non può trattarsi di una condotta trascurabile per la quale può essere prevista una normale sanzione disciplinare. L’inadempimento deve essere apprezzabile e tale da minare il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore e comunque ledere l’interesse del primo.
Non deve essere inoltre così grave da rendere improseguibile il rapporto di lavoro perché si ricadrebbe nell’ambito del licenziamento per giusta causa, che avviene senza preavviso.
Il licenziamento per giustificato motivo – sia esso oggettivo o soggettivo – deve infatti avvenire con un certo preavviso stabilito dalla contrattazione nazionale e dalla legge.
Un dipendente può incorrere in questo tipo di licenziamento per il mancato rispetto delle direttive, per scarso rendimento, per assenze ingiustificate, per falsificazione o divulgazione di documenti e dati aziendali, per sopraggiunta infermità o malattia (in questo caso con dei limiti previsti dalla legge).
Questa tipologia di licenziamento prescinde dalla condotta del dipendente in quanto riguarda cause oggettive, dipendenti in particolare dalla situazione economica e gestionale dell’azienda.
Non è necessario che ci sia una crisi economica ma è sufficiente, come prevede la legge 604/1966 che vi siano ragioni legate all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento dell’azienda.
Il nostro ordinamento prevede infatti una libertà di iniziativa economica che, in senso lato, comprende anche la facoltà per gli imprenditori e i datori di lavoro di gestire in totale autonomia – entro, comunque, i parametri e i limiti fissati dalle leggi dello Stato – la propria azienda.
Questo aspetto comporta che i datori di lavoro possano rescindere un contratto di lavoro laddove le condizioni organizzative e gestionali dell’azienda richiedano di ridurre il numero dei dipendenti.
Può accadere certamente in periodi di crisi ma anche laddove vengono riorganizzati reparti e unità lavorative o nel caso in cui, ad esempio, l’innovazione tecnologica renda superfluo l’intervento umano.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e soggettivo sono quindi due tipi di licenziamento con diverse basi legali e conseguenze.
La principale differenza fra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e soggettivo è la motivazione del licenziamento. Mentre il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è un licenziamento legato a motivazioni economiche e produttive relative all'azienda e avviene quando il datore di lavoro decide di interrompere il rapporto per ragioni indipendenti dalla persona del lavoratore, il giustificato motivo soggettivo è basato sul comportamento o sulla condotta personale del dipendente che si presume abbia violato in modo significativo i propri doveri o obblighi contrattuali, come stabilito dall’art. 3 della legge 604/1966.
In entrambi i casi, il datore di lavoro deve seguire una procedura legale specifica per effettuare il licenziamento, che può variare in base alle leggi del paese o alle disposizioni contrattuali.
Il lavoratore può naturalmente reagire alle contestazioni del datore ricorrendo contro il licenziamento per giustificato motivo entro i tempi stabiliti dalla legge.
Il provvedimento assunto dal datore di lavoro può infatti rivelarsi illegittimo, e quindi nullo, laddove non ricorrano le condizioni stabilite dalla legge.
È il datore di lavoro ad avere l’onere della prova per giustificare la legittimità del provvedimento adottato, soprattutto per quanto riguarda il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Appare invece meno sindacabile l’opportunità di licenziare per questioni oggettive perché la legge – art. 30 l. 183/2010 – stabilisce che “il controllo giudiziale è limitato all’accertamento del presupposto della legittimità e non può essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro”.
La valutazione, in sede giudiziale, attiene quindi soltanto ai profili di legittimità e tende a verificare che il licenziamento non sia stato comminato per inadempimenti di scarsa importanza o per disfarsi del lavoratore in assenza di cause oggettive inerenti alla produzione e all’organizzazione aziendale (ad esempio per discriminazione).
L’illegittimità può inoltre conseguire a un licenziamento comunicato o comminato senza rispettare i limiti e le previsioni di legge (preavviso, forma della comunicazione, ecc…).
Riferimenti normativi
Legge 604/1966
Legge 183/2010
Art. 1455 Codice civile
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